Appunti sulla meditazione – 1 …info tecniche

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07 Gennaio 2019

Quest’anno per chiudere il capitolo di volontariato con il centro di Madre Teresa a Kolkata (Calcutta) ed aprire quello con il centro Palli Unnayan Seva Samiti di Bhubanesvar ho voluto dedicare dieci giorni alla pratica di meditazione Vipassana. Ho voluto dedicare un tempo per chiudere delle emozioni e delle esperienze, che sono state tante, forti, spesse. Frustrazioni, gioie, sensazioni nel corpo e nell’anima. Volevo lasciarle sedimentare senza sentirmi oppressa dal nuovo che arriva. Ed ho voluto fare spazio al nuovo, a questo nuovo che saranno i 300 bimbi del centro PUSS. Proprio a Kolkata c’è un centro di Vipassana e c’erano posti liberi per il periodo fra natale e l’anno nuovo. Quale migliore occasione. Niente di meglio. Il corso mi aspettava.

 

Avevo tante parole da dire e da condividere mentre sedevo, corpo composto in una posa da mantenere per un’ora o più, per diverse sessioni al giorno. Impegnata, impavida, solida. Ore e ore seduta ad immaginare cosa scrivere su questa nuova pagina. “Come intitolerò l’articolo?” “Mi succede questo. Ah! Devo assolutamente parlarne nella pagina”. E poi: “Questo concetto dell’osservazione è così interessante”, “Questa tecnica di meditazione Vipassana è così potente! Lo devo certo scrivere. Devo condividere quanto efficace e quanto utile può essere per molti”.

Ecco, diciamo che propriamente, tutti questi pensieri non erano proprio indicati per una seduta di meditazione. O meglio, sì lo sono, sono naturali pensieri che scaturiscono da una mente agitata, ma lo scopo della meditazione è proprio spogliare questa proliferazione di pensieri per dare spazio ad una mente chiara e pulita.

Khutodaw Pagoda

E sì, l’idea di voler scrivere di questo corso di meditazione Vipassana è stato uno dei demoni che mi sono inventata per distrarmi dalla reale concentrazione e dedizione che è richiesta durante una seduta di meditazione. È una delle tante scuse che si inventano pur di sfuggire al vero compito, che è essere in contatto con se stessi, e che, quando accade, automaticamente si trasforma in potere di guarigione.

Sedere immobile, in silenzio scatena e da voce a mille fantasie, pensieri, cose da dire da fare, e sensazioni.

Ma oggi che siedo davanti al computer perché finalmente posso mettere in pratica quella che durante le sedute sembrava una brama impellente da vivere con avversione perché irrealizzabile, perché dovevo stare seduta ad occhi chiusi, in silenzio invece che al computer, oggi, dopo dieci giorni di intenso lavoro mi sembra quasi di non avere nulla da dire, di aver compreso che tutti quei pensieri erano solo delle grandi scuse.

Oggi ho la conferma che tutta quella brama era il frutto dell’irrequietezza della mia mente e niente più. O viceversa che l’irrequietezza della mia mente, terrorizzata dal potere del vuoto, continuava a generare desideri fuori dalla realtà che stavo vivendo.

Ma la meditazione Vipassana, nella mia umile esperienza personale, è stata qualcosa di più ancora. È stato un viaggio di liberazione del corpo attraverso la mente e della mente attraverso il corpo.

Ed è per questo che il corpo e la mente rifiutano l’impegno i primi giorni. Perché non è piacevole. Perché sedersi per dieci lunghi giorni ad osservare il proprio respiro e il proprio corpo è un duro lavoro. Ma a lavoro ben fatto, i risultati sono notevoli.

Khutodaw Pagoda

Questo è quello che richiedono per frequentare un ritiro di Meditazione Vipassana: l’impegno a prendere parte al ritiro per dieci giorni. L’impegno a mantenere ciò che viene chiamato “nobile silenzio”. All’entrata del centro si consegnano i cellulari. È richiesto di non scrivere, non leggere, limitare al massimo le distrazioni per mantenere lo stato di concentrazione.

Per quelli che sentono la piena vita di tutti i giorni come stressante e troppo piena, quest’idea di isolamento potrebbe quasi piacere e suonare come un sollievo dalle pene quotidiane. Finalmente liberi dal caos. Per quelli che invece “senza cellulare e tv non posso stare” potrebbe essere motivo di sfida ed anche di rifiuto.

Questa per alcuni è certamente la grande occasione per conoscere ed affrontare i propri meccanismi, le proprie idiosincrasie e le proprie dipendenze.

La meditazione e la mindfulness sono percorsi di consapevolezza che hanno la finalità di renderci più felici e persone migliori e presentano quindi l’opportunità di scoprire ed affrontare i nostri limiti.

Il metodo Vipassana viene dalla tradizione buddista. La storia dice che sia il metodo che Goutama Budda ha messo a punto per ottenere l’illuminazione. Credenti o no quello che conta sono i risultati ed è provato scientificamente che questo tipo di meditazione ha un’influenza sull’equilibrio psicofisico, poiché libererebbe la mente dall’innata tendenza di perdersi in pensieri e preoccupazioni che non riguardano il presente, che quindi non esistono, e che sarebbero causa di sofferenza (in psicologia questa attitudine è chiamata “deriva attenzionale”).

La tecnica Vipassana è stata preservata in Birmania e poi diffusa nel mondo ed è prevalentemente rappresentata da due scuole principali. La scuola del monaco buddista Mahasi Sayadaw e quella del laico U Ba Kin e del discepolo S.N. Goenka.
Ho fatto esperienza di tutte e due le tecniche e le reputo entrambe molto valide ed efficaci e le considero uno scrigno prezioso dove viene preservato un sapere antico di duemilacinquecento anni, confermato da studi scientifici degli ultimi quarant’anni.

In Aprile 2017 frequentai il corso della scuola di Mahasi Sayadaw in Italia, al centro Pian dei Ciliegi. Ho fatto esercizio per un anno intero, notando giorno dopo giorno incremento di consapevolezza e miglioramenti della mia qualità di vita.

Quest’anno, dieci giorni fa, il piacere di prendere parte ad un corso di Vipassana, qui a Calcutta, un centro che porta avanti la tradizione della scuola di U Ba Kin e S.N. Goenka.

Il termine Vipassana deriva dalla lingua Pali e significa “visione penetrativa”, “visione profonda”, “visione delle cose come sono realmente”.
È infatti un metodo di osservazione di ciò che accade nel momento presente.

Si lavora sulla concentrazione e sull’osservazione delle sensazioni del corpo.

E nel mare delle sensazioni del corpo, delle sue micro particelle, sempre allerta, sempre vigili si fanno i conti con gli stati di irrequietezza. Di avversione quando le sensazioni sono spiacevoli e di desiderio in caso di sensazione positiva che lo stato di piacevolezza non termini mai.

E invece proprio uno degli insegnamenti principali del buddismo e della pratica meditativa risiede nell’accettazione che tutto cambia, che tutto è in movimento e che non si può fermare il fluire della natura, perché è nel fluire della natura che risiede la sua essenza.  Non vi è vita se non in movimento, se non nel cambiamento.

Accogliere il mutare della realtà, accettarne la sua impermanenza.

Vi auguro di avere la curiosità di provare queste meravigliose tecniche, di risveglio dei sensi e della coscienza.

Clicca qui per leggere Appunti sulla meditazione – 2 …e il numero 49

Grazie mille per essere con me  ❤
Be K-IND, ci vediamo a Bhubaneswar!

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